A Bottidda per la Festa di Sant'Antonio Abate |
Il falò che arde al centro della piazza è il grandeprotagonista della veglia di Sant'Antonio Abate. |
L'occasione:
16 e 17 gennaio. Sono non
meno di un centinaio i centri della Sardegna, disseminati con un certo
equilibrio in tutta l'isola, dove il 16 e 17 gennaio si festeggia, con riti
sostanzialmente consimili, Sant'Antonio Abate. Nel solo piccolo Goceano,
regione fra le più interne e fra le più fedeli alle tradizioni, partecipano
alle celebrazioni ben sette comuni (oltre a Bottidda, Anela, Bono, Bultei,
Burgos, Esporlatu e Illorai), cioè tutti quelli allineati lungo "Sa
Costera", il ripido costone del monte che delimita la parte alta della
regione. Il dato è indicativo di una venerazione enormemente diffusa, che
affonda le sue radici in un passato davvero remoto, come dimostra l'irripetibile
mescolanza di elementi pagani e cristiani che si fondono nella leggenda
agiografica isolana. Sant'Antonio
Abate, anacoreta egiziano vissuto nel III-IV secolo, è una figura tutt’altro
che di secondo piano nella mistica cristiana. L'iconografia lo rappresenta
affiancato da un maiale (è infatti noto anche come Sant'Antonio del
Porcello), simbolo del demonio che lo assediò con le sue tentazioni.
Dovunque, e nell'Italia meridionale in special modo, è venerato come
protettore degli animali domestici e come guaritore della malattia che ne
prende il nome: il fuoco di Sant'Antonio. Questo
legame del santo con le fiamme, dell'inferno e del corpo, ha assunto in
Sardegna gli accenti particolarissimi di un mito che non ha riscontri
altrove e nel quale si traspone, con l'ingenua audacia della religiosità
popolare, l'antica leggenda di Prometeo. Sarebbe stato infatti Sant'Antonio
Abate (ribattezzato proprio per questa ragione in tutta l'isola Sant'Antoni
de su Foga) a rubare il fuoco, anziché agli dei, al diavolo, per riscaldare
le gelide notti della Sardegna arcaica. Disceso all'inferno con un bastone
di ferula, Sant'Antonio riuscì a trarre in inganno Lucifero grazie alla
proprietà di questo arbusto spontaneo di non prendere fuoco, bensì di
annerirsi, quando viene accostato alla fiamma: ritornato
sulla terra, il santo agitò la sua canna di ferula spargendo tutt'intorno le
scintille che permisero agli uomini di conoscere il fuoco e di imparare a
conservarlo. Un altro momento della festa Il fuoco è
dunque iL protagonista assoluto delle celebrazioni: in tutti i paesi dove si
festeggia il santo vengono accesi grandi falò in vari punti dell'abitato. A
Bottidda, a differenzadi quanto accade negli altri comuni del Goceano, il
luogo di riunione è uno solo: la piazza dedicata al santo. L'accensione del
falò avviene la sera del 16 gennaio, vigilia della ricorrenza, al tramonto.
Poiché la festa dura tutta la notte, la quantità di legna da ardere è
davvero ingente, e il taglio della legna necessaria, che inizia vari giorni
prima della scadenza rituale, è un importante momento di socializzazione
comunitaria. Le immense estensioni di boschi del territorio comunale offrono
materia prima in abbondanza e l'Azienda delle Foreste Demaniali contribuisce
con altro legnatico offerto per l'occasione. A cura del comitato organizzatore,
la legna viene accatastata al centro della piazza in una gigantesca pira di
forma conica, sulla cui cima viene conficcata una croce ornata di arance. Subito dopo
l'accensione del falò si celebra nella chiesa di Sant'Antonio Abate la messa,
cui seguono la processione per le vie del paese e la benedizione del fuoco.
Un cavaliere compie quindi sei giri intorno al fuoco, tre in senso orario e
tre in senso antiorario, reggendo l'ardia, cioè lo stendardo sulla cui picca
è infilzata una pagnotta tonda di pane tradizionale, di semola e di colore
giallo, confezionato esclusivamente per questa occasione. Dopo il cavaliere,
tutti i presenti compiono i sei giri rituali intorno al fuoco prima di dare
inizio al banchetto (che, naturalmente, è a base di carne di maiale e di
cinghiale, cucinata in vari modi), alle abbondanti libagioni di vino novello
e alle danze. Quando, alla fine della nottata, il falò si estingue, molti dei
presenti raccolgono uno dei tizzoni ancora accesi, che conservano come
portafortuna. Le
produzioni tradizionali della zona. Come è
lecito aspettarsi da una piccola regione incuneata nella provincia di
Nuoro, il Goceano è una zona di antiche tradizioni, anche se il continuo calo
demografico di questi ultimi vent'anni ha provocato la scomparsa di molte
produzioni tipiche. Fra le
lavorazioni artigianali spicca per la sua importanza quella dei tappeti, che
ha in Nule uno dei suoi centri di assoluta eccellenza, con una produzione di
inconfondibile originalità. A Nule si tesse infatti con il telaio verticale,
più antico di La
produzione artigianale del pane è diffusa in tutto il Goceano e, come si è
visto, nella stessa Bottidda: tuttavia la palma dell'originalità spetta in
questo caso a Benetutti, dove si produce il pane bissau, assai simile per il
tipo di lavorazione a sfoglia sottilissima e biscottata al più celebre
carasau, originario della Barbagia, ma di forma rettangolare anziché rotonda.
In quasi tutti i paesi della regione si può trovare una variante della
spianata, il pane tipico di Ozieri, ma ormai diffuso in tutta l'isola: il pane
modde del Goceano è una spianata di dimensioni ridotte, preparata con semola
e farina, pizzicata ai bordi e decorata. Più elaborate le cozzulas cum elda,
focacce farcite con pezzi di lardo. La raffinata
pasticceria sarda ha in Benetutti, Bono, Bottida e Nule alcuni dei suoi
centri più tradizionali: oltre alle classiche tericcas (o tiliccas} e
copulettas, diffuse in tutta l'isola, e ai pabassinos, tipici del periodo dei
morti, caratteristiche del Goceano sono sas ciambellas, con il buco al centro
e ripiene di marmellata. Fra i piatti
tipici della regione il più noto (e particolarmente adatto al periodo
invernale) è Sa piscadura, che non ha niente a che vedere con il pesce:
originario di Bono, si prepara facendo cuocere (con tempi di cottura
diversi) fave secche, finocchi, patate, cipolla, lardo e vari pezzi del
maiale (la coscia e qualche parte grassa, come la testina). Il nome deriva
presumibilmente dal fatto che, a fine cottura, si devono estrarre tutti
questi ingredienti "pescandoli" dal brodo, che verrà usato per
ammorbidire il pane disposto a strati. Altro antico
piatto di Bono è Su casu furriau (cioè letteralmente "il formaggio
rivoltato"), ottenuto condendo su succu (pasta di semola a perline, non
dissimile dalla fregola o dal cus-cus) con la crema di formaggio fresco di
pecora, lasciato preventivamente inacidire e cotto poi nel latte. Con lo
stesso tipo di pasta viene anche preparato in Goceano un minestrone, i cui
elementi vegetali di base sono i fagioli freschi, il finocchio selvatico, le
patate e le cipolle. La vicinanza
della provincia di Nuoro si rende manifesta infine nella ricetta e nel nome
stesso dei culunzones, ravioli di patate originari dell'Ogliastra. |
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