Isola di Sardegna

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Presentazione

L'arte


L’Arte



Un tempo abbazia di un florido monastero camaldolese, la Basilica della Santissima Trinità di Saccargia, pur sorgendo oggi a poche decine di metri dalla trafficata statale Sassari-Olbia, domina ancora dall'alto del suo campanile su un paesaggio arioso e verdeggiante di pascoli e coltivi
Dal punto di vista della qualità della produzione architettonica e arti­stica l'irrompere della storia provoca in Sardegna una cesura insolita­mente marcata fra il prima e il do­po. La preistoria sarda, prenuragica e soprattutto nuragica, presenta infatti caratteri di evidente, perfino conturbante originalità che, in epoca sto­rica, verranno quasi completamente a mancare. Sotto la dominazione romana questo subitaneo capovolgimento di sorte rimane ancora ben ma­scherato: Roma impone infatti i suoi modelli in tutte le province, in Sardegna come in Asia Mino­re, in Gallia come nell'Africa del Nord, e la margi­nalità relativa delle periferie sfuma in una sorta di universale centralità culturale, cui partecipano anche gli angoli più sperduti dell'Impero. I bene­fici di questa appartenenza ad un sistema solare dagli equilibri e dai moti ben regolati, all'interno del quale le forze di attrazione, pur nell'evidente disparità delle masse, sono sempre reciproche, vengono a cessare in modo si direbbe irrimediabi­le alla caduta dell'Impero. Ha inizio allora per la Sardegna una storia nuova, in cui il destino dell'i­solamento si fa ad un tratto pesante. Le febbrili correnti di popoli e culture che percorrono l'Euro­pa lambiscono l'isola con i loro colpi di coda, sen­za risparmiarle nessuna tragedia ma anche senza coinvolgerla mai nei fermenti di novità, nelle ventate di ossigeno degli scambi culturali. Nell'I­talia settentrionale le migrazioni delle popolazio­ni germaniche hanno certo provocato devastazio­ni e scompigli, ma hanno anche portato le speri­mentazioni statuali di Teodorico e quella ancor più stabile dei Longobardi, con i suoi piccoli ma non insignificanti tesori: in Sardegna tutto que­sto si riassume nel nome dei Vandali, simbolo quasi leggendario della distruzione fine a se stessa. Quanto ai Bizantini, basterà confrontare gli splendori del loro passaggio in Sicilia, per non dir di Ravenna e Venezia, con la sconfortante nullità delle loro tracce in Sardegna: al punto che perfino quell'articolato equilibrio fra sottigliezza giuridi­ca, astuzia retorica e pedanteria burocratica che va sotto il nome di "bizantinismo" è rimasto to­talmente estraneo (caso forse unico in Italia) alla mentalità isolana.
Una sua originalità politico-statuale e amministra­tiva ha semmai l'esperienza dei Giudicati che non a caso, aggiungendosi ad una consistente presen­za di ordini monastici agguerriti e vivaci come Camaldolesi, Vallombrosani e Benedettini di Montecassino, permette alla Sardegna di dotarsi di un gran numero di chiese romaniche, alcune delle quali di eccellente fattura. Tanto il romanico quan­to, e a maggior ragione, il gotico venuto dalla pe­nisola iberica e poi via via l'arte rinascimentale, il manierismo, il barocco, il rococò, il neoclassici­smo rimangono tuttavia modelli d'importazione, approdati nell'isola più o meno tardivamente (sempre più tardivamente col passare dei secoli) e attecchiti in terra sarda come forme di vegetazio­ne allogena.
Eppure vi sono almeno due elementi specifici, in questa storia di sudditanza culturale, che fanno del romanico e del gotico sardo (per limitarci a queste due stagioni particolarmente prolifiche) qualcosa di peculiare e che rendono più godibile di quanto ci si possa aspettare a priori, talora affa­scinante e sempre toccante, un itinerario fra que­ste testimonianze isolane dell'arte medievale e moderna.
Il primo motivo d'interesse è dato dal fatto che, fin dall'XI secolo, quando le maestranze venute per lo più di Toscana aprono la Sardegna al roma­nico, comincia a formarsi nell'isola una classe di artigiani locali che, appresa l'arte del tagliapietre, dello scalpellino, dell'intagliatore, dello scultore, del pittore, la tramanderanno per secoli, di gene­razione in generazione, aggiornandola via via ai ritmi che la marginalità culturale consente, ma ar­ricchendola anche di suggestioni inattese, di per­sonali estri creativi, di sincretismi stilistici ispira ti da un irripetibile impasto di nostalgia dell'anti­co e seduzione del nuovo. Un effetto tutt'altro che banale di questo curioso fenomeno è che le grandi stagioni stilistiche, benché, come si è detto, ger­moglino nel terreno dell'isola come sementi d'im­portazione, vi si radicano così profondamente che nessuna vegetazione nuova riesce a soppiantare del tutto quella che l'ha preceduta: il che, som­mandosi al ritardo, più o meno sensibile, dell'in­troduzione iniziale, finisce col produrre episodi ar­chitettonici che proprio dal loro anacronismo, dal­la loro attitudine a stratificare fasi di inattualità sovrapposte, traggono un soffio di paradossale originalità "dialettale".
Il secondo, e più manifesto, motivo di fascino dell'architettura religiosa in Sardegna è dato invece, soprattutto per quanto riguarda l'architettura ro­manica, dalla magica complicità fra chiese e pae­saggio, dalla ricchezza inesauribile del loro rap­porto e dalla varietà sorprendente di linguaggi for­mali, teatrali, cromatici cui il loro dialogo di volta in volta ricorre. Questo vale tanto più, com'è ov­vio, per quelle chiese che chiamiamo campestri, sperdute in lontananze remote sulle cime dei colli, sul fondo delle valli, nel folto della macchia: chie­se che sembrano essere state innalzate deliberata­mente in quei luoghi come solitari emblemi dell'onnipresenza divina o come inni al creato, e che, invece, sono nate nella quasi totalità come parroc­chiali di villaggi, abbazie di conventi o addirittura cattedrali di città di cui non resta più la minima traccia. È perfino inquietante
osservare con quale grazia elegante e flessibile questi edifici di pietra abbiano saputo adattarsi ai rovesci del loro desti­no, fino a trasformare l'abbandono patito in una presenza più forte, in un'armonia più perfetta, in una bellezza più espressiva e insieme più arcana. I sette itinerari che seguono propongono, sul filo di diverse suggestioni tematiche, altrettante bre­vi esplorazioni di questo patrimonio povero e prezioso ad un tempo, dove l'arte, in assenza dei grandi maestri, si affida ad altri prodigi per veni­re alla luce: il talento dell'artigiano, la sapienza della natura.

Nei suoi austeri paramenti di trachite nera la basilica di Nostra Signora del Regno, una delle più belle chiese romaniche di Sardegna, sorge sul ciglio di un costone roccioso nell'abitato di Ardara, volgendo le spalle alla piana




 
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