Le chiese nel paesaggio |
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1. Oschiri: Chiesa di Nostra
Signora di Otti. |
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2. Oschiri: Chiesa di Nostra
Signora di Castro. |
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3. Tula: Chiesa di Nostra
Signora di Coros. |
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4. Erula: Chiesa di Santa
Vittoria di Gavazana. |
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5. Perfugas: Portale della
chiesa di Santa Maria. |
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6. Perfugas: Chiesa
parrocchiale di Santa Maria degli Angeli e Retablo di San Giorgio. |
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7. Perfugas: Chiesa di San
Giorgio. |
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8. Martis: Chiesa di San
Pantaleo. |
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9. Chiaramonti: Chiesa di Santa
Maria Maddalena. |
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10. Ozieri: Basilica di
Sant'Antioco di Bisarcio. |
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11. Ardara: Basilica di
Nostra Signora del Regno. |
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Il tema di questo itinerario è, pur nella
semplicità lineare del suo filo conduttore, ricco di molteplici variazioni.
Dai margini orientali a quelli occidentali del Montacuto, attraverso un ampio
giro nell'Anglona, la strada si snoda di tappa in tappa dispiegando dinanzi
agli occhi del viaggiatore i suoi scenari volubili, in un continuo mutare di
prospettive, di colori, di rocce, di verdi e di azzurri. Solo elemento quasi
costante è la vastità degli spazi, il largo respiro degli orizzonti, ancorché
sempre mossi e ondulati. Su questi fondali mutevoli le chiese, specie quelle
romaniche (che rappresentano del resto i tre quarti del totale), mostrano la
loro sorprendente versatilità teatrale, il loro talento mimetico e insieme
scenografico. Qualche sciagurato restauro recente offre l'occasione per un
raffronto non proprio lusinghiero: quella magica armonia fra opere della
natura e opere dell'uomo appare non soltanto irrimediabilmente perduta nel
costruire, ma addirittura distrutta nel goffo tentativo di conservare.
Raggiunta Oschiri, se ne esce adesso
lungo la statale 597 per Sassari, che si lascia però quasi subito, piegando a
destra per salire al grande piazzale panoramico antistante la chiesa di
Nostra Signora di Castro, già sede Oschiri: la chiesa di Nostra Signora di Castro sullo sfondo del massiccio del Limbara La chiesa, che a dispetto della sua
antica dignità di cattedrale ha proporzioni tutt'altro che monumentali, sorge
in posizione straordinariamente felice, a dominio della piana di Ozieri e
quasi sopra la sponda orientale del lago artificiale del Coghinas, con vista
su orizzonti vastissimi. A somiglianza della vicina e quasi
omonima Nostra Signora di Otti, benché di fabbrica assai più accurata, la
chiesa, edificata nella seconda metà del XII secolo, è interamente costruita
in conci di trachite, ben squadrati e levigati, delle più varie tonalità di
rosso, con effetti quasi d'intarsio sulla bella facciata, sormontata da un
campanile a vela a doppia cella di costruzione più tarda. Anche il portico ad
arcate che poggia sul fianco destro per tutta la sua lunghezza risale a epoca
posteriore. L'interno suggestivo e severo presenta un'unica navata con abside
a copertura di legno, e accoglie un'antica statua della Vergine di legno dorato,
protagonista di una festa tradizionale, molto sentita dalla popolazione, che
si svolge il lunedì di Pasqua.
Da Castro, anziché ritornare sulla statale,
procediamo per la stessa stradina asfaltata che, dopo pochi chilometri,
scavalca su uno stretto ponte dalle spallette di ferro il braccio meridionale
del lago del Coghinas per poi proseguire, La chiesa di Nostra Signora di CorosAlla periferia di Tula, ringiovanita da un discutibile restauro Qui, nei pressi del cimitero, alla
periferia del paese, sorge la chiesa di Nostra Signora di Coros, già abbazia
di un monastero dei Vallombrosani, che la fecero edificare tra la fine
dell'XI e l'inizio del XII secolo in stile romanico - lombardo. Purtroppo
dell'antica dignità dell'edificio non rimane oggi che una pallida traccia: un
restauro di una ventina d'anni fa l'ha infatti snaturata, rimuovendo
interamente i paramenti originari di trachite rossastra e risarcendoli con
cantoni nuovi, anch'essi di trachite, ma di colore più pallido e freddo e di
taglio uniforme. La cosa che più colpisce non è tanto la pesantezza
dell'intervento, certo poco rispettoso ma meno stridente di altri successivi,
quanto piuttosto la sua totale astrazione da uno scopo, da una destinazione
d'uso dell'edificio: la chiesa sta là, nel suo vestito fin troppo nuovo, nel
silenzio del vicino cimitero, abbandonata alle erbacce che l'assediano, così
alte e fitte che risulta quasi impossibile raggiungere l'abside per osservare
le poche decine di conci originari che ne stanno alla base. D'intorno, dalla
piccola altura, ci si affaccia su un paesaggio disteso, verdeggiante di pascoli
e di dolci declivi. Fosse anche stata, prima del restauro, in rovina (cosa
che per la verità non risulta), questa povera chiesa doveva senza dubbio
sentirsi enormemente più a proprio agio in quel secolare abbandono che in
questa assurda desolazione nuova fiammante.
Per aggirare da est il grande
massiccio trachitico del Monte Su Sassu, una stupenda strada sale da Tula fin
quasi alla vetta del Monte Sa Sia, offrendo vedute mutevoli e vaste sul lago
del Coghinas e sulle alture ricoperte di fittissima macchia, per poi
ridiscendere più dolcemente verso i morbidi paesaggi collinari dell'Anglona.
Si attraversa il piccolo abitato di Erula e si prosegue in direzione di
Perfugas: dopo qualche chilometro si svolta a sinistra e, attraverso la
macchia La bella chiesa romanica di Santa Vittoria, in agro di Erula,
sorge sul sito dello scomparso villaggio medievale di Gavazana La fabbrica è in conci di trachite
delle tonalità più varie, dal rosa pallido al rosso carico, con rari e
isolati inserti bianchi di calcare. La lineare semplicità della facciata è
animata soltanto dal grande campanile a vela. L'interno è mononavato, con
copertura in capriate lignee.
Prima di scampagnare, ignari di ciò che
ci attende, per la chiesa foranea di San Giorgio, vogliamo visitare il
capolavoro pittorico che le apparteneva e che adesso, per comprensibili
ragioni di sicurezza, è custodito all'interno della parrocchiale di Santa
Maria degli Angeli, bella chiesa gotico - aragonese ubicata proprio nel cuore
dell'abitato alla sommità di una piccola zona pedonale che rappresenta il
relitto, soffocato dalle case nuove, di un centro storico non privo di
dignità architettonica. In una cappella laterale, appositamente allestita, si
conserva il Retablo di San Giorgio, uno degli esempi più fulgidi, tra quelli
rimasti intatti nell'isola, di questo particolare genere di opera d'arte,
dove pittura e intaglio del legno sembrano rivaleggiare in sontuosità
sfavillante. La complessa struttura a telaio gotico è divisa in cinque zone
verticali, per un totale di 51 dipinti. Opera di un artista anonimo del XVI
secolo, che certamente conobbe e assorbì la lezione del cosiddetto Maestro di
Ozieri, il retablo è stato di recente restituito al pubblico dopo un restauro
lunghissimo e complesso, che lo ha tenuto per circa trent'anni lontano
dall'osservazione degli studiosi. Per questa ragione il dipinto è ancora in
attesa di una sistemazione critica adeguata.
Da Perfugas a Martis, attraverso
Laerru, la strada statale 127 si snoda pigra, spalancando a ogni svolta nuovi
scenari di verdeggiante morbidezza, orizzonti lontani dalle cornici ondulate,
pascoli che furono un tempo coltivi tra i più fertili dell'isola, piccoli
abitati posati nelle conche o arroccati sui colli, un paesaggio lento eppure
dinamico, dove la mobilità delle linee si alimenta della varietà dei colori.
Se, poco prima del cartello indicatore del km 80, si ha l'accortezza di
ridurre la velocità, già regolata del resto dalla flessuosità del percorso,
si potrà scorgere a destra sulla cima di un poggio, a un centinaio di metri
dal ciglio della strada (e irraggiungibile al di là di un'alta recinzione),
quel che resta della chiesa di San Leonardo, la più piccola chiesa romanica
della Sardegna: interamente costruita in conci di calcare candido ben
levigati e squadrati, e danneggiata dal crollo della copertura, è oggi adibita
a stalla. Si procede per Martis dove, proprio ai margini dell'abitato,
scenograficamente posata sul ciglio di una scarpata che strapiomba sulla
valle, sorge l'ex parrocchiale di San Pantaleo, che da decenni sprofonda
senza apparente rimedio per il cedimento graduale dello sperone di roccia sul
quale, all'inizio del XIV secolo, fu costruita. Lo si può considerare un
edificio tardo - romanico, ma con evidenti influssi gotici. Nella bella
facciata bianca di calcare la ghiera bicroma, con cunei alternati di calcare
e trachite, incorniciava un rosone che è andato perduto già da decenni. Il
campanile, gravemente danneggiato, è stato ricostruito con discutibile
noncuranza. Il recente crollo della volta ha costretto a transennare la
chiesa, rendendo impossibile l'accesso.
Ozieri: la basilica di Sant’Antioco, già cattedraleDella diocesi di Bisarcio Venne quindi ricostruita sul
primitivo impianto, nei suoi austeri paramenti di trachite rossobruna locale,
nel 1150 - 60 e ampliata qualche decennio più tardi con l'aggiunta sulla
facciata del bel portico a due piani, unico esempio del romanico isolano.
Seguì nel XV secolo l'abbandono del sito, secondo una sorte comune a molti
abitati del Nord Sardegna, sotto l'infuriare, più ancora che delle pestilenze
e delle carestie, dell'infinita guerra fra Doria e Aragonesi e delle sue
devastazioni (le fortificazioni di Castelsardo, Santa Maria Coghinas e
Chiaramonti restano poco più nord a testimoniare della vicinanza di uno dei
più importanti fronti difensivi dei Doria). Quindi nel 1503, con l'abbandono
della diocesi e la conseguente perdita del titolo di cattedrale, cominciò per
Sant'Antioco di Bisarcio una nuova vita appartata di chiesa campestre.
Infine, in epoca assai più recente, la torre campanaria fu dimezzata da un
fulmine. Il maestoso interno ha pianta basilicale a tre navate con paramenti
di trachite scura.
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