Isola di Sardegna

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Chiese romaniche e abitati scomparsi

L'arte

Distanza complessiva da percorrere                     circa 200 Km
Tempo medio di percorrenza                               circa 4  ore
Tempi di sosta e visita                                        circa 4 ore
Durata complessiva dell'itinerario                         circa 8  ore



1. Sassari: Chiesa di San Giacomo di Taniga.
2. Usini: Chiesa di San Giorgio di Oliastreto.
3. Ossi: Chiesa di Sant'Antonio di Briai.
4. Banari:Chiesa di Santa Maria di Cea.
5. Borutta: Abbazia di San Pietro di Sorres.
6. Torralba: Chiesa di Nostra Signora di Cabu Abbas.
7. Bonorva: Chiesa di San Lorenzo di Rebeccu.
8. Bono: Chiesa di San Gavino di Lorthia.





Il vero Medioevo irruppe in Sardegna proprio quando nel resto d'Europa era al tramonto. Il feudalesimo, che le era rimasto sostanzialmente estraneo, vi venne importato a forza dalla penisola iberica e cominciò a radicarsi nell'isola nel XV secolo, perpetuandosi poi fino alle soglie dell'età contemporanea. I Genovesi, arroccati nei loro castelli, resistettero per oltre un secolo (dal 1323 al 1436) all'avanzare della conquista aragonese, appiccando dovunque l'incendio di una belligeranza feroce, antiquaria, che devastò le campagne più fertili e di più solide tradizioni agricole. Le incursioni piratesche, anziché attenuarsi, si inasprirono, seminando il terrore sui litorali. Le pestilenze peggiori, infine, erano ancora in agguato: per il Nord Sardegna la più grave di tutte fu quella del 1652, che decimò la popolazione di Sassari, riducendola della metà in pochi mesi. Fu sotto questi convergenti flagelli che nacque e crebbe via via di portata un flusso migratorio dalle coste e dalle pianure verso l'interno e verso la relativa protezione e salubrità dei rilievi. Le dimensioni dell'esodo furono impressionanti: si calcola che circa la metà dei villaggi esistenti nel Capo di Sopra all'inizio del XV secolo si spopolò nel corso dei due successivi. Le chiese romaniche, intatte o in rovina, restano sui luoghi di queste tragedie altrimenti silenziose come schiaccianti prove testimoniali. L'itinerario che qui si propone tocca alcuni di questi solitari custodi di una memoria fuggita altrove. Non sono che pochi esempi, allineati lungo una linea appena un pò zigzagante, ma esplicita nella sua continuità, che dall'agro di Sassari si addentra nel Meilogu e nel Goceano fino ai confini della provincia di Nuoro. L'eccellenza di alcune di queste chiese comunica con asciutta sobrietà al viaggiatore il senso di una realtà che sarebbe difficile estrarre con altrettanta immediatezza dai documenti di carta: a paragone dell'età moderna il Medioevo, luogo storico - letterario delle tenebre, è stato per la Sardegna una stagione di sole.


1. Sassari: Chiesa di San Giacomo di Taniga.
L'itinerario, che presenta la sua prima meta lungo la strada fra Sorso e Sassari e l'ultima nella valle del Tirso, all'estremo sud della provincia, è immaginato per chi, sbarcato sull'isola a Porto Torres, debba raggiungere Nuoro o la sua costa e sia interessato a conoscere, a prezzo di non proibitive deviazioni, alcuni piccoli e grandi capolavori
del romanico disseminati lungo il percorso, sui siti oggi campestri di antichi villaggi scomparsi.

Sassari: sul fianco sinistro della chiesa di San Giacomo di Taniga si aprono tre monofore e un portale in stile gotico

La prima chiesa, ubicata nell'agro di Sassari, fa per la verità eccezione, non trattandosi di un edificio in stile romanico, ma gotico. Per raggiungerla imbocchiamo da Porto Torres la statale 131 Carlo Felice in direzione di Sassari e dopo pochi chilometri ne usciamo al bivio per Sorso, che dista da questo svincolo poco più di un quarto d'ora di strada: attraversate Sorso e la contigua Sennori, prendiamo la statale 200 per Sassari, dalla quale, ormai in vicinanza del capoluogo, una breve deviazione a destra ci conduce alla chiesa di San Giacomo, che sorge sul sito dello scomparso villaggio di Taniga o Tanecle, proprio di fronte ad un'altra chiesetta, quella barocca di Santa Maria. San Giacomo rappresenta il più significativo esempio di architettura gotica del territorio sassarese. Costruita interamente in conci di calcare chiaro, con interno ad aula mononavata, risale al primo quarto del XIV secolo. L'abside quadrata, voltata a crociera, è illuminata da ampie monofore a sesto acuto. Gli spioventi della facciata, liscia e nuda, terminano nel piccolo campanile a vela in asse col portale gotico. Lungo il fianco sinistro dell'edificio si aprono tre alte monofore dall'elegante profilo trilobato e un portale con architrave a timpano.

2. Usini: Chiesa di San Giorgio di Oliastreto.
Da San Giacomo si prosegue lungo la statale 200 fino a Sassari e di qui s'imbocca la nuova direttissima per Ittiri, che si lascia dopo pochi chilometri allo svincolo di Usini: prima di raggiungere (abitato, si piega a destra sulla strada che conduce all'incrocio della statale 127 bis. La si attraversa, procedendo nella strada che si apre di fronte e che, dopo circa cinque chilometri, porta al sito dell'estinto villaggio medievale di Oliastreto dove sorgono i ruderi (ma attualmente ne è in corso il restauro) dell'antica parrocchiale di San Giorgio. La chiesa, attestata come esistente fin dalla prima metà del XII secolo, è il frutto di una costruzione particolarmente accurata. La sua notorietà è del resto comprovata dal fatto che ne trasse il nome la contea di San Giorgio, comprendente gli attuali comuni di Tissi e di Usini e concessa in feudo dagli Aragonesi ai Manca nel XVI secolo. La bella fabbrica in conci di calcare chiaro di pezzatura uniforme ha subito nei secoli danni rovinosi: al crollo della copertura si è aggiunta una trentina d'anni fa quello della facciata.

3. Ossi: Chiesa di Sant'Antonio di Briai.
Ritornati da San Giorgio sulla direttissima Sassari - Ittiri, ne percorriamo un breve tratto a ritroso, uscendo allo svincolo di Tissi e percorrendo la strada provinciale fino ai limiti dell'abitato di Ossi, dove svolteremo a destra per Ittiri e Banari. Dopo una decina di chilometri, proprio in corrispondenza dell'ampio slargo da cui si dirama il bivio per
Florinas, potremo fermarci a visitare la piccola chiesa romanica di Sant'Antonio Abate, che sorge solitaria sul sito del villaggio scomparso di Briai (o Briave, o Bere) di cui era forse la parrocchiale.

Ossi: la chiesa di Sant’Antonio Abate sorge sul sito del villaggio scomparso di Briai


Delle numerose chiesette romaniche disseminate nel territorio di Ossi, quasi sempre, come in questo caso, a presidio di estinti villaggi medievali, è questa la sola in buono stato di conservazione ed agibile, anche grazie a una serie di successivi restauri che, risarcendone le parti mancanti con materiale non originario, ne hanno almeno assicurato la stabilità. La strada che abbiamo percorso, da Ossi a Sant'Antonio, sfiora l'una dopo l'altra due chiese romaniche in rovina, Santa Margherita e San Silverio (Santu Silvaru), mentre una terza, mancante di copertura, si trova in località Noale. Costruita in conci di arenaria locale, presenta facciata e fianchi semplicissimi, spogli, decorati soltanto da file di archetti pensili che corrono lungo tutto il perimetro. La posizione panoramica in cui sorge si trova proprio al confine col territorio comunale di Florinas, la cui parrocchia ne mantiene, per ragioni storiche, la giurisdizione e ne conserva la statua.

4. Banari:Chiesa di Santa Maria di Cea.
Dal crocevia sul quale sorge la chiesa di Sant'Antonio procediamo verso sud lungo la provinciale per Banari, lasciando successivamente alla nostra destra il bivio per Ittiri e alla nostra sinistra quello per Florinas: poco dopo quest'ultimo incrocio, e immediatamente prima del ponte che scavalca il Rio Mannu (si tratta del Rio Mannu di Porto Torres),
scorgeremo sulla sinistra della strada, biancheggiante nei suoi conci di calcare e adagiata nel verde sul fondo delta valle, la bella chiesa romanica di Santa Maria di Cea, oggetto di un recente, dignitoso restauro.

La chiesa di Santa Maria di Cea, in territorio di Banari

La chiesa, datata al 1260 da un'iscrizione apposta sulla facciata, dipendeva dal monastero vallombrosano di San Michele di Salvenero ed è collegata a un romitorio tuttora in buono stato di conservazione. Ma in questa sito sorgeva anche il villaggio medievale di Cea (o Sea, o Seve), la cui esistenza è attestata dall'XI secolo e che risulta già spopolato e scomparso alla fine del XVI. La chiesa, ad aula mononavata absidata con copertura a capriate di legno, presenta una facciata a tre arcate nella quale si apre un portale ingentilito da pseudocapitelli fitomorfi. Nei dintorni dell'edificio sono in corso scavi archeologici miranti a riportare alla luce i resti dell'antico villaggio.

5. Borutta: Abbazia di San Pietro di Sorres.
Attraversati l'uno dopo l'altro gli abitati di Banari, Siligo e Bessude, raggiungiamo Thiesi e di qui, dopo aver percorso un breve tratto della statale 131bis verso l'innesto della Carlo Felice, svoltiamo a sinistra per Borutta: lungo la strada incontreremo la deviazione per San Pietro di Sorres, una delle più belle chiese romaniche dell'isola che svetta alta dalla cima di un colle calcareo sopra il piccolo paesello di Borutta (331 abitanti nel 1998). Oggi è l'abbazia di un monastero benedettino in piena attività, dotato fra l'altro di un'importante biblioteca di circa 24000 volumi, ma per oltre tre secoli (dal XII fino all''inizio del XVI) fu la cattedrale della cittadina di Sorres, sede dell'omonima diocesi. La decadenza della città, di cui non restano tracce, iniziò probabilmente nella seconda metà del XIV secolo, quando gli Aragonesi, conquistata questa posizione elevata e strategica, la fortificarono, facendone uno degli epicentri della loro lunga lotta contro i Doria, una delle cui principali linee difensive è tuttora ben attestata poco più a sud, lungo l'arco che congiunge Monteleone Rocca Doria a Roccaforte (sopra l'attuale abitato di Giave) passando per Bonuighinu in comune di Mara. La vita a Sorres dovette allora farsi impossibile e la popolazione abbandonò rapidamente il villaggio, preceduta dal vescovo, che si trasferì nel minuscolo borgo di Borutta, la cui modesta chiesa parrocchiale ebbe per forse un secolo il titolo di cattedrale. San Pietro di Sorres conserva ben evidenti i segni della sua antica dignità. La facciata, ornata di archetti e di preziose tarsie rosa disposte a losanga, è ripartita da due cornici orizzontali in tre ordini: i due inferiori sono in conci bianchi di calcare, mentre quello superiore adotta il tipico motivo a fasce alternate di trachite e calcare, ripreso lungo i fianchi e nell'abside. L'interno, a tre navate divise da pilastri, è interamente voltato a crociera, cosa eccezionale per quel periodo in Sardegna: vi si conservano un pulpito gotico, un altare romanico, un sarcofago del vescovo Goffredo Benedettino e una statua lignea di stile spagnolo, raffigurante una Madonna con Bambino. L'adiacente convento, ricostruito sulle rovine dell'antica casa vescovile, è stato edificato negli anni Cinquanta, risparmiando ben poco delle strutture originarie.

6. Torralba: Chiesa di Nostra Signora di Cabu Abbas.

Ridiscesi da San Pietro di Sorres sulla provinciale, conviene ripercorrerne a ritroso il tratto fino alla statale 131bis: qui svolteremo a sinistra, verso la Carlo Felice, e, sottopassatala, procederemo seguendo le indicazioni per il Nuraghe Santu Antine. Subito prima del nuraghe un sentiero sulla destra conduce alla chiesa romanica di Nostra Signora, che sorge sul sito dell'estinto villaggio medievale di Cabu Abbas e alla quale era annesso uno dei più antichi conventi benedettini della Sardegna. Il toponimo di Cabu Abbas (Capo delle Acque) sta a testimoniare la fertilità di questa piana dalle antiche tradizioni agricole, intensamente frequentata fin dalla preistoria, come attestano, oltre al vicino Nuraghe Santu Antine (uno dei più imponenti dell'isola), gli altri numerosissimi che popolano in ogni direzione la valle, non a caso ribattezzata Valle dei Nuraghi. La chiesa, realizzata in conci bianchi di calcare con inserti scuri di trachite, risale al XIII secolo. La facciata, molto semplice, è movimentata da sottili lesene sormontate da una cornice di archetti pensili. Sul timpano spicca una curiosa figura antropomorfa, databile forse al XVII secolo.

7. Bonorva: Chiesa di San Lorenzo di Rebeccu.
La prossima meta del nostro itinerario costituisce un'eccezione nell'ininterrotta sequenza di abitati estinti, dei quali le chiese rappresentano in genere i
soli edifici sopravvissuti all'abbandono. Il villaggio medievale di Rebeccu, infatti, un tempo centro animato e di qualche importanza (fu capoluogo della curatoria di Costaval nel giudicato di Torres), poi decaduto rapidamente e spopolatosi, rimane tuttavia prodigiosamente intatto, con le sue tortuose viuzze scavate nella roccia e le antiche semplici abitazioni divenute oggi in gran parte case di villeggiatura.

Bonorva: la chiesa di San Lorenzo era la parrocchiale del villaggio di Rebeccu

Per raggiungerlo, procediamo da Cabu Abbas lungo la provinciale per la stazione di Torralba e, superatala, sempre diritto per la medesima strada fino a incontrare sulla destra una stradina secondaria che piega in direzione sud-ovest per andare a confluire nella provinciale Bonorva-Bono: qui a sinistra e, poco dopo, a destra al bivio per Rebeccu.
La chiesa romanica di San Lorenzo, probabilmente antica parrocchiale di Rebeccu, sorge a destra della strada, leggermente appartata rispetto al villaggio che domina da una piccola altura. La costruzione ad una navata chiusa da un'abside risale al XII secolo. Presenta una bella facciata decorata da archetti pensili, in conci di calcare chiaro ravvivati da inserti irregolari di trachite nera. La bicromia si fa più ordinata nell'arco di scarico che sovrasta il portale. Parzialmente smantellata nell'Ottocento, quando i materiali furono riutilizzati per la costruzione di una nuova parrocchiale, la chiesa è stata ben restaurata di recente (1982).

8. Bono: Chiesa di San Gavino di Lorthia.
Da Rebeccu ritorniamo sulla provinciale, dove svoltiamo a destra in direzione di Bono: la strada prende gradualmente a salire verso i monti della Catena del Goceano, addentrandosi in un paesaggio boscoso dalla vegetazione sempre più fitta. Attraversiamo la frazione di Foresta Burgos e procediamo ancora fino all'abitato di Bono: di qui scendiamo verso la valle del Tirso lungo la provinciale per Bitti e, scavalcato il fiume, raggiungiamo dopo tre chilometri il sito di un altro villaggio medievale estinto, quello di Lorthia o Lorzia. Qui, nel breve spazio di poche centinaia di metri, sorgono ben cinque chiese, dette appunto le Cinque Chiese del Campo, una sola delle quali, la prima che s'incontra, risale all'epoca in cui il borgo era abitato. La chiesetta romanica di San Gavino (Santu Baingiu), costruita nel XII secolo, interamente in mattoni di cotto (caso non molto comune fra gli edifici romanici sardi), era anzi la parrocchiale di Lorthia. Il rifacimento della copertura ne ha un po' snaturato la facciata, mentre l'abside restituisce intatte la spoglia semplicità della fabbrica e la calda tonalità del materiale. Poco distante, in bella posizione elevata, sorge la chiesa di Santa Restituta, la più imponente delle cinque. Le altre tre sono dedicate a San Nicola (la più suggestiva, interamente intonacata di bianco), Santa Barbara e Sant'Ambrogio. Da Lorthia si prosegue per la medesima strada fino a incontrare, dopo una ventina di chilometri, la statale 389: qui a destra, per raggiungere Nuoro in circa un quarto d'ora.


 
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