Isola di Sardegna

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Fra i Romani e il Romanico

L'arte


Percorsi a piedi                                                   circa 20 min.
Tempi di sosta e visita                                         circa 4 ore
Durata complessiva dell’itinerario                          circa 9 ore
Distanza complessiva da percorrere                       circa 285 km
Tempo medio di percorrenza                                 circa 5 ore

1. Sassari: Chiesa rupestre di Funtana Gutierrez.
2. Romana: Chiesa rupestre di San Lussorio.
3. Cossoine: Chiesa campestre di Santa Maria Iscalas.
4. Cheremule: Tomba della Cava.
5. Siligo: Chiesa di Santa Maria di Bubalis o di Mesumundu.
6. Ittireddu: Chiesa di Santa Croce.
7. Anela: Insediamento fortificato di San Giorgio di Aneletto.
8. Oschiri: Area sacra di Santo Stefano.
9. Ploaghe: Tomba ipogeica di Mulinu.



Di oltre cinque secoli di storia, dalla caduta dell'impero romano fino all’inizio del secondo millennio, le testimonianze architettoniche rima­ste nel Nord Sardegna, come del resto in tutta l'isola, sono così sporadiche e rare che questo itinerario, in nove tappe, le inanella quasi per intero. Per la massima parte questi monumenti sono la manifestazione di una religio­sità spontanea, di una cristianità ancora venata di paganesimo che inventa i suoi luoghi di culto, o di una appena un po' più erudita, quella degli ordini monastici, che cerca, prima dell'affermarsi di una norma unificante, una sua di­gnità architettonica. E interessante osservare il ruolo dì primo piano che gioca, in questa confusa ricerca degli spazi del sacro, la riutilizzazione degli insedia­menti preistorici: non c'è forse segno più esplicito, da una parte, della vitalità delle civiltà prenuragiche e nuragica in Sardegna, ne, dall'altra, dell'abissale retrocessione che seguì al crollo dell'impero


1. Sassari: Chiesa rupestre di Funtana Gutierrez.
Il nostro piccolo viaggio, che toc­cherà prevalentemente località re­mote da ogni centro abitato, inizia paradossalmente dall'area urbana della più grande città del Nord Sar­degna.
In una delle più suggestive e boscose vallate della periferia di Sassari, all'interno del complesso re­sidenziale Le Querce, si trova infatti questa chiesetta scavata in una parete calcarea e risalen­te al VII-IX secolo, cioè al periodo più oscuro e scarsamen­te documentato del­la storia dell'isola.
Ottenuta probabil­mente dalla rilavora­zione di una tomba roma­na, la chiesa ebbe in una prima fase due absidi affiancate, con altare, separate da un pilastro centrale. In una fase ul­teriore fu aggiunta una terza abside in forma di nicchia. A sinistra della chiesa si trova una ci­sterna scavata a sua volta nel calcare, quasi certamente di età roma­na e tuttora utilizzata. Pochi metri a destra del luogo di culto cristiano è in­vece venuta alla luce una tomba in arcosolio di età romana avanzata:
si riconoscono l'arco scolpito nella roccia e, in basso, tracce del casso­ne. Nelle vicinanze del sito, infine, sono alcune domus de janas del Neo­litico recente (3500-2700 a.C.) riuti­lizzate in epoca altomedievale.

2. Romana: Chiesa rupestre di San Lussorio.
Un altro raro esempio di santuario rupestre di origine altomedievale ci attende a qualche distanza dal pic­colo abitato di Romana, nelle cam­pagne dell'alta valle del Temo. Per raggiungerlo imbocchiamo da Sassa­ri la nuova direttissima per Ittiri e, di qui, percorriamo un breve tratto della statale 131bis in direzione di Thiesi, svoltando al primo bivio nella provinciale per Romana. Una stradetta asfaltata ci condurrà poi diret­tamente dal paese alla suggestiva chiesetta di San Lussorio o Santo Lussurgiu, cinque chilometri più a nord-ovest. Qui un'ampia cavità na­turale, in parte adattata dall'uomo in età altomedievale per trasformarla in luogo di culto, si apre sul fianco di uno sperone roccioso a 340 metri di altitudine. Nel XVII secolo l'ingresso della caverna fu dotato di un portico a cinque arcate, sormontato da un campanile a vela a doppia cella. La tradizione vuole che San Lussorio, il santo di origine sarda cui la chiesa è dedicata e che è conosciuto anche in Toscana col nome di San Rossore, abbia vissuto per un certo periodo in questa grotta come un eremita.

3. Cossoine: Chiesa campestre di Santa Maria Iscalas.

Fatta a ritroso la strada fino a Roma­na, si scende un paio di chilometri più a sud per immettersi nella stata­le 292, dove si svolterà
a sinistra per Mara e Pozzomaggiore, deviando poi nella 292dir verso l'innesto della Carlo Felice: proprio all'ingresso dell'abitato di Cossoine si stacca sulla sinistra uno sterrato abbastanza agevole che dopo circa cinque chilo­metri conduce alla bella chiesa di Santa Maria Iscalas, raro esempio di architettura tardo-bizantina che, nei suoi luminosi paramenti di candida pietra calcarea, domina dalla cima del Monte Costanza il sottostante pianoro boscoso. Costruita dai Ca-maldolesi nell'XI secolo, la chiesa, di modeste dimensioni, ha croce greca, con un corpo centrale cupolato dal quale si dipartono quattro bracci orientali nelle direzioni cardinali. Il braccio ad est è chiuso da una picco­la abside. All'interno un affresco di iconografia bizantina, rappresentan­te il battesimo di Gesù. La chiesa ha subito di recente un restauro non proprio felice, il cui risultato sgar­giante ha cancellato la patina di quasi un millennio di vita: un picco­lo gioiello cosi raro ed antico avreb­be certo meritato maggiore rispetto.


La chiesa di Santa Maria Iscalas, in agro di Cossoine, è un raro esempio di edificio di culto tardo-bizantino
 


4. Cheremule: Tomba della Cava

La prossima meta del nostro itinera­rio non è una chiesa ma un sito ar­cheologico. Per raggiungerlo prose­guiamo da Cossoine lungo l'ultimo breve tratto della statale 292dir fino all'innesto della 131 Carlo Felice, che imboccheremo in direzione di Sassari: dopo circa quattro chilome­tri (ma dovremo procedere ancora per invertire la marcia) si stacca sul­la sinistra una strada, solo in parte asfaltata, che sale pressoché in linea retta all'abitato di Cheremule. Lungo il margine sinistro di questa carra­reccia si sussegue una serie di sepol­ture preistoriche di notevole interes­se archeologico (vedi Itinerario 20) e di non facile individuazione: quella che riguarda il tema del nostro itine­rario è ubicata in località Museddu,
circa un chilometro a sud del paese. Superata la centrale elettrica, se­guiamo la strada ancora per due chi­lometri, svoltiamo a sinistra in corrispondenza di un primo abbevera­toio, quindi di nuovo subito a sini­stra fino a raggiungerne un secondo, dove lasceremo l'auto per imboccare a piedi, sulla destra, un sentiero che conduce al sito. Nell'area archeologi­ca di Museddu sono presenti una grande necropoli a domus de janas (non meno di diciotto tombe), una serie di impianti produttivi d'epoca romana destinati probabilmente alla vinificazione, una cava di pietra ri­salente allo stesso periodo e la tom­ba detta appunto della Cava per la sua prossimità a quest'ultimo sito. La tomba risale, come le altre della vicina necropoli, al Neolitico recente (3500-2700 a.C.), ma reca evidenti segni di una riutilizzazione in età al­tomedievale per la sepoltura di un personaggio di rilievo della comu­nità. Sul lato sinistro dell'ipogeo so­no, infatti, scolpite figure antropo­morfe, databili forse a età bizantina, che sembrano rappresentare una ce­rimonia funebre.


La Tomba della Cava, in località Museddu (comune di Cheremule), è una sepoltura ipogeica del Neolitico recente, riutilizzata in età altomedievale



5. Siligo: Chiesa di Santa Maria di Bubalis o di Mesumundu.

Ritornati sulla carrareccia per Chere­mule, ne percorriamo ancora un bre­vissimo tratto in direzione del paese, svoltando quindi a destra in una de­viazione che in poche centinaia di metri ci porta sulla statale 131bis:
qui a destra, verso la 131, ma, subito prima di raggiungerla, a sinistra nel­la vecchia Carlo Felice, che corre pa­rallela al lato occidentale della nuova per una quindicina di chilometri, at­traversando successivamente Torralba e Bonnanaro e sfiorando poi le pendici del Monte Santo fino all'al­tezza di Siligo. Qui dovremo, seguen­do le indicazioni, svoltare a sinistra sulla rampa d'accesso alla strada pro­vinciale che collega Siligo (il cui abi­tato rimane qualche chilometro alla nostra sinistra) ad Ardara e che subi­to
scavalca la statale 131 per mo­strarci sulla sinistra, fin troppo visi­bile dopo il restauro chiassoso di cui è stata recentemente vittima, la Chiesa di Santa Maria di Bubalis, una delle più antiche dell'isola. Fu infatti costruita in epoca bizantina, certo non oltre il VII secolo e, con ogni probabilità, sopra le rovine di preesi­stenti terme romane che utilizzavano la vicina sorgente calda di Abba de Bagnos. Dedicata a Santa Maria di Bubalis (nome che deriva forse da quello di un'altra sorgente dei din­torni, la Funtana de Pubulos, cioè dei Pascoli), ma più nota come Nostra Signora di Mesumundu per via della cu­pola (il "mondo tagliato a metà") che ne sovrasta la rotonda centrale, è costruita in una mistura di pietre ba-saltiche di piccola pezzatura e di mattoni cotti. Nell'XI secolo la chiesa divenne proprietà dei Benedettini di Montecassino, che vi edificarono all'intorno un convento e ne modifica­rono in parte la struttura con l'ag­giunta di un'abside. Fino a qualche tempo fa versava in stato di parziale rovina, ma la sua architettura origi­naria e i successivi ampliamenti era­no perfettamente leggibili e, nell'in­sieme, emanava un fascino fuor del comune: risulta difficile credere che nemmeno la sua vetustà e rarità ab­biano potuto preservarla da una ma­nomissione tanto offensiva.

L'antichissima chiesa di Santa Maria di Bubalis (comune di Siligo) cosi come appare dopo il recente restauro


6. Ittireddu: Chiesa di Santa Croce.
Procediamo in direzione di Ardara e, dopo qualche chilometro, pieghiamo a destra per immetterci nella statale 128bis nei pressi di Mores: qui a si­nistra verso Ozieri fino al bivio per Ittireddu, paesello di neppure 600 abitanti che conserva al centro del piccolo abitato un vero gioiello di architettura preromanica, poi riela­borato in età romanica fino ad assu­mere l'aspetto attuale. La chiesa è infatti il risultato di almeno tre suc­cessive fasi costruttive. L'impianto originario, un organismo a croce greca a un'abside, risale al VI-VII se­colo, cioè agli albori del Medioevo. Subito dopo furono realizzate altre due piccole absidi. Infine, verso il XII secolo, l'edificio venne modifica­to con l'allungamento della navata e dotato della bella facciata romanica in conci di calcare chiaro, cui sì al­ternano senz'ordine inserti scuri di basalto. La bicromia si fa regolare nell'arco a sesto acuto del portale.

7. Anela: Insediamento fortificato di San Giorgio di Aneletto.
Da Ittireddu prendiamo la provinciale per Bono, che punta verso la Catena del Goceano, inoltrandosi via via in una vegetazione sempre più fitta fi­no ad attraversare, da ultimo, una delle zone più boscose dell'isola. Do­po una ventina di chilometri la stra­da confluisce nella Bonorva-Bono, dove svolteremo a sinistra, proce­dendo fino al valico di Ucc'aidu, e qui di nuovo a sinistra verso Punta Masiennera: percorsi circa tre chilometri e superata una biforcazione tenendo la sinistra, svolteremo ancora a sini­stra in una stradina sterrata che con­duce alla fortezza altomedievale di San Giorgio di Aneletto. I resti di questo insediamento militare, ubica­to a quasi 1000 metri di altitudine, ai margini del bosco e a breve distanza dalla caserma della Forestale di Ane­la, sono venuti alla luce di recente. La cinta muraria trapezoidale (di cir­ca 300 metri di lunghezza), con quattro torri rettangolari agli angoli, delimita uno spazio fortificato di cir­ca mezzo ettaro, all'interno del quale sono state rinvenute tracce di abita­zioni e di sepolture. Il nome del sito deriva da quello della chiesa di San Giorgio di Aneletto, i cui resti sono riconoscibili sull'alto di una delle tor­ri: si tratta di una chiesa romanica, donata nel 1163 ai Camaldolesi. Ma il borgo fortificato, unico insediamen­to non a carattere sacro del nostro itinerario, è di epoca assai anteriore: è stato datato al VII secolo, cioè al periodo della dominazione bizantina.

8. Oschiri: Area sacra di Santo Stefano.
Proseguiamo verso Punta Masiennera per piegare quasi subito a destra in una strada asfaltata che dopo poco più di un chilometro sfocia nella pro­vinciale Bultei-Ozieri, che percorrere­mo in direzione nord fino ad Ozieri:
di qui circa venti chilometri di strada statale ci condurranno ad Oschiri, dal cui abitato parte una strada di penetrazione agraria che ci permetterà di raggiungere in pochi minuti l'interes­sante area archeologica che sorge proprio di fronte alla chiesa campe­stre di Santo Stefano. Questa piccola chiesa risale al XVI secolo ma fu con ogni probabilità costruita sull'im­pianto di una pre­cedente chiesa bi­zantina, a confer­ma di un insedia­mento altomedie­vale di una certa importanza. Dinan­zi alla chiesa si tro­va un suggestivo altare rupestre cristiano, con celle ed elementi decorativi e simbolici. Nei dintorni, a testimoniare una conti­nuità di frequentazione dell'area che non conosce interruzioni dal Neoliti­co al Medioevo e oltre, sono rintrac­ciabili alcune domus de janas, un dolmen e un menhir.

9. Ploaghe: Tomba ipogeica di Mulinu.

Da Oschiri imbocchiamo la veloce statale 597 in direzione di Sassari e ne percorriamo una quarantina di chi­lometri, fino allo svincolo per il vici­no abitato di Ploaghe: di qui prende­remo la vecchia strada per Chiaramonti, che corre sul lato sinistro del­la statale 672, e dopo circa cinque chilometri noteremo sulla sinistra, a pochi metri dal ciglio della strada, il monticello di arenaria nel quale è scavata una tomba di età altomedie-vale che, per accuratezza costruttiva e ricchezza di decorazioni, non ha raffronti in Sardegna. Scoperta ca­sualmente nel 1985 quando, in segui­to a un incendio, se ne rese visibile l'apertura prima completamente na­scosta dalla vegetazione, la tomba di Mulinu è costituita da un unico am­biente, la cui parte anteriore è volta­ta artificialmente con pietra pomice. Al centro della camera una grande co­lonna scolpita nella roccia, con base ad anello e capitello a tronco di pira­mide. Lungo una delle pareti laterali è ricavato un letto funebre con pulvini alle due estremità, mentre nella pare­te di fondo sono scavate tre nicchie con apertura ogivale. All'esterno della tomba sono riconoscibili canaletto e vasche che compongono un elaborato e tuttora efficiente sistema di raccol­ta dell'acqua piovana. La tomba non ha restituito materiali utili alla sua datazione ma, sulla base degli ele­menti architettonici che la caratteriz­zano, si ritiene possa risalire ad età bizantina. Da Mulinu si fa ritorno a Ploaghe e di qui, passando lungo la statale 597 accanto alla celebre basi­lica di Santissima Trinità di Saccargia, si raggiunge la 131 Carlo Felice per rientrare a Sassari in circa un quarto d'ora.


 
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