Isola di Sardegna

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Pattada. Il nuraghe Lerno sorge oggi a poca distanza dalla riva dell'omonimo lago artificiale


Fra natura e opera umana i monumenti della preistoria sarda si presentano agli occhi del visitatore come un reame in­termedio, che tiene dell'una e dell'altra in eguale misura. Il semplice dato quantitativo, superiore ad ogni sforzo d'immaginazione, da un'idea della quotidiana familiarità di rapporti che si è venuta a stabilire nei millenni fra emergenze archeologiche e paesaggio. A tutt'oggi, sulla base di censimenti inevitabilmente parziali, che vengono arricchiti ogni anno da decine di nuove, a volte clamorose scoperte, sono registrati con certezza in Sardegna circa 8000 nuraghi: uno ogni tre chilometri quadrati o, se si preferisce, uno ogni duecento abitanti. Le domus dejanas, sepolture ipogeiche con caratteri originali che le distinguono da altre analoghe tombe diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo, sono, nella sola provincia di Sassari, dove questa tipologia si concentra in modo quasi esclusivo, circa 2000. A queste due grandi famiglie monumentali occorre poi aggiungere le centinaia di tombe di giganti e le decine di dolmen e di luoghi di culto nuragici, che tendono col progredire degli studi ad affermare una presenza ben meno sporadica di quanto si ritenesse fino a pochi anni or sono.
Poiché questi monumenti sono per la massima par­te dispersi per le campagne, arrampicati sui colli, scavati nella roccia, nascosti nel folto della macchia, è facile arguire come un itinerario archeolo­gico si traduca sempre in Sardegna in un'esplora­zione del territorio o in quella che potremmo definire, ancor più che un'escursione, un'incursione nei segreti della natura. Questo rapporto forte, quasi simbiotico, fra archeologia e paesaggio si rende particolarmente manifesto nel caso dei nuraghi, assurti a icona simbolica della Sardegna non tanto nel modo, tutto storico-culturale, in cui le Piramidi lo sono dell'Egitto, quanto piuttosto in quello, profondamente biologico, in cui i canguri lo sono dell'Australia: come un endemismo della fauna o della vegetazione. Lo stesso discorso può farsi del resto, e forse a maggior ragione, per Le domus de janas, cosi profondamente legate alla terra, cosi ben nascoste con i loro tesori inaspettati nelle cavità della roccia, così difficili da estrarre dai loro travestimenti mimetici.
Il gruppo di undici itinerari archeologici che segue è perciò prevalentemente organizzato, a somi­glianzà di quello degli itinerari dedicati al paesag­gio, in un vasto giro della provincia che, in nove successive tappe, tocca i punti di maggiore interesse che s'incontrano via via lungo il cammino. Seguono due itinerari di più approfondita tratta­zione tematica: il primo è dedicato ai dolmen, che si concentrano in un'area relativamente ristretta del territorio e disegnano il profilo di una tipologia architettonica molto ben definita; il secondo infila invece in una lunga collana alcuni dei tesori lasciati in Sardegna dalle popolazioni forestiere che, nel corso dei millenni, vi hanno soggiornato per una breve stagione o, come i Romani, per alcuni secoli. Sono testimonianze, in molti casi di eccezionale valore, che aggiungono ulteriore interesse all'esplorazione archeologica di un'isola già insolitamente ricca di monumenti preistorici.





Le tombe ipogeiche prenuragiche sono espressione di una perfetta armonia tra opera dell'uomo e paesaggio. Un esempio fra i tanti è offerto dalle domus de janas di Puttu Codinu, in territorio dì Villanova Monteleone

 
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