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Comune di Castelsardo |
Il paese arrampicato sulla roccia
II paese, posto su un alto promontorio roccioso, si affaccia sul mare da una posizione privilegiata, che gli apre alla vista l'ampio arco del Golfo dell'Asinata e per un buon tratto la costa gallurese. Al sommo del borgo medioevale, cinto da bastioni arcigni, è il Castello che di tutta questa regione finché poté fu il presidio. Intorno al castello, e insieme ad esso, Castelsardo (ma fu chiamato allora Castel Genovese) nacque intorno al 1100, al tempo della lunga contesa fra genovesi e pisani, per iniziativa dei Doria che ne fecero il caposaldo del loro dominio sulla Sardegna settentrionale. Cambiò nome, diventando Castell'Aragonese, nel 1448, quando gli spagnoli sconfissero il ribelle Nicolò Doria; fu infine ribattezzato col nome che ancora porta nel 1769 dai governanti sabaudi.
Da allora tutt'intorno alla rocca, dovunque lo consentissero il mare che gli sta davanti e le rocce che lo sostengono, nel tempo il paese si è dilatato, digradando lungo i fianchi del colle, via via meno ripidi, invadendo il breve tratto pianeggiante e spingendosi fin sulle alture che si levano alle sue spalle.
Quasi immutato e rimasto il suo nucleo storico, che ha conservato intatte le sue stradine ripide e strette, le antiche case, le belle chiese.
Sorte diversa ha avuto il Castello, del quale restano il portale d'ingresso, una torre, alcune stanze e le scuderie.
Nel Castello oggi ha sede il Museo dell'Intreccio mediterraneo nel quale sono esposti, fra l'altro, i cestini opera delle artigliane locali.
Sospesa sul mare sembra essere la Cattedrale intitolata a Sant'Antonio Abate che fu costruita fra la fine del Cinquecento e i primi anni del Seicento nel luogo dove sorgeva un'antica chiesa romanica benedettina.
Alle sue spalle si leva l'alto campanile di trachite bruna dalla cupola di maiolica.
Nella cattedrale (ma oggi, trasferita a Tempio la sede episcopale, è semplicemente la chiesa parrocchiale del paese), che ha arredo sontuoso, si conservano opere di pregio e in qualche caso di grande valore storico-
Vi sono altari settecenteschi scolpiti nel legno di ginepro. Notevole, in particolare, il retablo di Sant'Antonio Abate, scolpito nel 1738 da ignoti artigiani sassaresi, ed è un esempio unico in Sardegna il complesso ligneo della Cappella di San Filippo Neri, forse del Seicento.
Risale invece sicuramente al 1740, ed è opera di due ebanisti sassaresi. Antonio Sanna e Francese Carta, il retabto della Madonna del Carmelo.
L'opera in assoluto più importante è un dipinto raffigurante una Madonna con Bambino e angeli.
È una delle quattro tavole (le altre tre sono conservate nella vicina aula capitolare) di un grande retablo smembrato nell'Ottocento, opera di un artista del quale ci è ignoto il nome, ma che gli studiosi conoscono come il "Maestro di Castelsardo".
Il pittore, di origine catalana, venuto in Sardegna nella seconda metà del Quattrocento, vi operò per due decenni.
Il retablo, dipinto a tempera con ritocchi ad olio, risale all'ultimo decennio del XV secolo.
Di grande pregio l'organo della cattedrale, costruito nei primi anni del Settecento.
In un cortile alle spalle della cattedrale sta, col convento al quale è annessa, la chiesa trecentesca di Santa Maria, nella quale sono custodite due opere di notevole rilievo: un crocifisso detto, per la colorazione scura assunta dal legno, il Cristo Nero, e un fece Homo chiamato La Pieddai (La Pietà).
La chiesa appartiene alla Confraternita di Santa Croce, depositaria della tradizione del Lunissanti, rito di origine medioevale che si ripete ogni anno il lunedì precedente la Pasqua.
Al rigido rituale presiede il Priore della Confraternita, che sceglie gli "apostoli", portatori dei dieci simboli della Passione (la croce, la corona di spine, i chiodi ecc.), e i dodici cantori, raggruppati in tre cori di quattro elementi ciascuno, secondo i canoni della musica vocale sarda.
Dopo la messa nella cattedrale i confratelli, seguiti dalla folla, portano in processione il Cristo Nero e una copia in gesso della Pieddai per le strade del paese e poi nella chiesa romanica di Nostra Signora di Tergu, a otto chilometri da Castelsardo, dove si celebra una solenne funzione accompagnata dall'attitu, il tradizionale canto funebre sardo.
Il ritorno a Castelsardo avviene di notte, e al lume dei ceri portati dalla folla e di lampade a olio sospese ai muri.
Durante il lungo cammino ciascuno dei tre cori esegue più volte un solo canto processionale: il Miserere il gruppo di testa, lo Stabat Mater quello centrale, lo Jesus l'ultimo, portando uno dei simboli della Passione: un teschio, l'Ecce Homo e il Crocifisso. Durante il canto la processione si arresta; cosi, lentamente, raggiunge la Chiesa di Santa Maria dove già a tarda sera viene celebrata la messa solenne.